L’articolo di Asor Rosa (Il Manifesto del 27/4) sul nuovo
soggetto politico è polemico e tagliente. Vediamo alcuni passaggi
significativi.
Politica. L’autore
condivide l’idea che la “democrazia rappresentativa” e quella “partecipativa”
dovrebbero integrarsi e riequilibrarsi profondamente. Non è d’accordo sul fatto
che il versante della “democrazia
rappresentativa” (partiti) sia da buttare, e l’altro, quello della “democrazia
partecipativa”, tutto da valorizzare ed esaltare; sarebbe sbagliato e autolesionista. La realtà dei 8101
comuni italiani è complessa ed eterogenea; alcuni sono virtuosi, la maggioranza
no, anzi centri di potere corrotti e di interesse privato. E’ giusta l’idea che
la democrazia partecipativa spinga per una riforma profonda e per una diversa
nozione e pratica della politica.
Principi, ideologia.
La globalizzazione non ha tolto di mezzo il fondamentale antagonismo tra
capitale e lavoro, lo ha anzi ingigantito,
reso planetario. Nel “Manifesto” non c’è traccia di questo: i nuovi
soggetti spostano il terreno dello scontro sui “beni comuni”. Se i beni comuni
sono innalzati a orizzonte ideologico e di valore del nuovo movimento, “ci si
dovrebbe chiedere non solo dove va, ma anche da dove viene un movimento così
orientato”.
L’origine, secondo A. Rosa, in parte, è derivato dall’opera di Toni
Negri e M. Hardt “Comune”, dove il “comune” negriano è, esplicitamente, il
frutto del chiaro rifiuto e superamento del vecchio operaismo e della teoria
marxiana del valore (ci ritorneremo, magari in altra sede, ndr), perché i beni
comuni sono obiettivi strategici nella prospettiva biopolitica di una” democrazia della moltitudine”. A.Rosa
afferma che dal “Manifesto” scompaiono le categorie: classe, popolo, sinistra e
destra. Non solo, scorge un legame con la Chiesa cattolica, perché il “bene
comune”, occupa un posto centrale nell’agire sociale e pastorale della chiesa
nel Mondo.
Comportamenti e
passioni: come conciliare: inclusione, virtù sociali, mitezza e fermezza,
riportati nel “Manifesto” e l’incredibile violenza dell’attuale sistema di
sfruttamento globale?
“Beni comuni” e
“Pubblico”. Citando S. Rodotà che definisce i beni comuni: “ Essi sono
quelli funzionali all’esercizio di diritti fondamentali, e al libero sviluppo
della personalità, che devono essere salvaguardati sottraendoli alla logica
distruttiva del breve periodo, proiettando la loro tutela nel mondo più lontano, abitato dalle generazioni future”,
A.R. si chiede se questa definizione non coincida con quella di “pubblico”.
”lo Stato
democratico-capitalistico moderno, nella sua complessa strutturazione”, deriva
dalle spinte delle classi
subalterne, dalle loro esigenze,
interessi, modi di vita, che hanno lasciato un segno consistente (si pensi alla
Resistenza, alla Costituzione e alle lotte iniziate negli anni ’60); “lo Stato
è stato( e in parte ancora è) un’articolazione del “pubblico” che tra le
proprie funzioni più specifiche e prestigiose ha quella di proiettare la tutela
dei beni di interesse comune”. Sanità pubblica, scuola pubblica, università,
ricerca, pensioni, diritti del lavoro, solidarietà sociale, tutela del
territorio, giustizia, sono i principali requisiti imperniati sul “pubblico”.
Quindi, la battaglia per i beni comuni non sarebbe meglio farla per l’allargare e rafforzare il “pubblico”, oggi sotto forte attacco?
Ieri a Firenze 1400 persone hanno scelto il nome del nuovo
soggetto politico: Alba, acronimo di alleanza per il lavoro, beni comuni,
ambiente con l’obiettivo di rifondare la rappresentanza, sconfiggere l’antipolitica
e combattere il neoliberismo. Ci ritorneremo
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