di Giobbe
Nella provincia di Milano i servizi per l’impiego (CPI) e i
centri di formazione professionale (CFP) saranno privatizzati, realizzando un
società a capitale misto pubblico/privato? Abbiamo già scritto che il 29 maggio
scorso la Giunta Podestà ha adottato una proposta di delibera in tal senso (pubblicata
sull’Albo Pretorio online della Provincia), da sottoporre ora al Consiglio
provinciale. Questa privatizzazione sarebbe unica in Italia. Per i sindacati i
servizi pubblici per il lavoro non possono essere messi in discussione o
ridimensionati: non si privatizzano servizi “sensibili” per i cittadini e
garanti di una democratica ripartizione delle risorse pubbliche destinate ai
senza lavoro.
Nonostante la mobilitazione dei lavoratori (ci sarà
un’assemblea il 26 giugno), la Giunta provinciale non ha ancora ritirato tale
delibera. Se questa fosse approvata, l’Afol Milano (CPI e CFP) passerebbe
subito da azienda speciale (regolata dal diritto
pubblico e senza scopo di lucro) a società a responsabilità limitata (a
scopo di lucro, regolata dal diritto
privato, con possibilità di fallimento e licenziamento). Di conseguenza,
anche i dipendenti provinciali di tali servizi verrebbero privatizzati: subito
quelli di Milano, più avanti quelli delle altre Afol provinciali. Anche gli
utenti subirebbero conseguenze negative: in particolare, i servizi per
l’impiego concentrerebbero la ricollocazione solo su lavoratori facilmente “spendibili”,
a detrimento delle categorie più vulnerabili.
Se questo blitz estivo riuscisse, si negherebbero i
capisaldi delle tutele universali e gratuite dei lavoratori. Il passo
successivo (di cui si parla a livello nazionale, e che in parte il “sistema
doti” della Regione Lombardia già anticipa) sarebbe quello di vincolare una
parte degli ammortizzatori sociali destinati a chi resta senza lavoro a misure
di politica attiva scelte dall’azienda che lo ha licenziato. In pratica, una
parte degli indennizzi destinati ai disoccupati sarebbero destinati alle
“agenzie private” chiamate a ricollocarli. Il risultato sarebbe di trasformare
la disoccupazione in un affare (per
le agenzie) finanziato con soldi versati da tutti i lavoratori, e di forzare i
disoccupati ad accettare anche offerte di lavoro non dignitose. Invece,
dovrebbe essere un diritto pieno e assoluto del lavoratore scegliere quale
misura effettuare e con chi.
È vero che, per il principio di sussidiarietà, anche i servizi per l’impiego dovrebbero basarsi
sulla “coesistenza attiva” di due pilastri: le Agenzie private per l’impiego e
i Centri per l’impiego pubblici (come suggerito dall’Ilo già nel 1997). Ma lo
scenario è ancora confuso, sia per le carenze normative sul mercato del lavoro
(sulla materia le Regioni hanno potestà legislativa concorrente con quelle
dello Stato, con conseguente conflitto), sia per l’incertezza sui modelli da
adottare (concorrenza, cooperazione, complementarietà, esternalizzazione).
Ma la Provincia di Milano pare decidere affrettatamente e -
in questo caso - pare confondere la
sussidiarietà, che non può significare annullamento
del pubblico, con la privatizzazione.
Inoltre la proposta della Giunta Podestà appare carente di
legittimità e in contraddizione con i principi di una leale concorrenza.
Infatti, la normativa citata nella delibera è infondata.
Vengono citate due leggi (la 248/2006 e la 244/2007) che in realtà, a tutela
della concorrenza, limitano il potere degli enti locali di costituire società
di capitali; per di più, una società mista privilegerebbe alcuni soggetti
privati (soci) rispetto ad altri e, se non correttamente regolata, farebbe
concorrenza sleale. Non vengono citati, invece, né l’art. 113 del Testo Unico
enti locali sulla gestione dei servizi
pubblici di rilevanza economica, né l’art. 113-bis su quelli senza rilevanza economica (quest’ultimo
articolo dichiarato incostituzionale dalla Corte, per illegittima compressione
dell’autonomia regionale; la Regione Lombardia finora non ha legiferato in
materia).
In sintesi: la proposta di delibera della Provincia non
individua se l’Afol appartenga o meno alla categoria di servizi pubblici di
rilevanza economica (questi servizi vivono di finanziamenti pubblici, tra i
quali quelli incerti del Fse), e – in tutti e due i casi – non adotta le corrette procedure o la
corretta forma di gestione.
Tra l’altro, le motivazioni della Giunta Podestà non
sembrano fondate sulla razionalità e sulla ragionevolezza. Come già
autorevolmente sostenuto (parere 195/2009 della Corte dei Conti Lombardia), il
relatore della delibera avrebbe dovuto fare un’analisi puntuale; dei singoli
servizi e del possibile impatto sul mercato concorrenziale di riferimento; dei
requisiti di redditività e autosufficienza economica (capacità di produrre profitti
o di coprire i costi con i ricavi). Inoltre, avrebbe dovuto valutare le
modalità di fornitura del servizio con riguardo ai costi, ai margini di
copertura, alle modalità di organizzazione del servizio in termini di
efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto da un lato dei princìpi di
tutela della concorrenza, dall’altro lato del principio di universalità e dei livelli essenziali delle prestazioni.
Per di più, tali valutazioni avrebbero riflessi sul bilancio
dell’ente. Ma la delibera contiene solo il parere tecnico/amministrativo,
favorevole (espresso dallo stesso dirigente che ha scritto la relazione),
mentre viene bypassato il parere di regolarità contabile poiché non viene
esplicitato il contenuto economico dell’atto (non viene neppure indicato il
capitale sociale di cui disporrà la nuova Afol Srl).
Si capisce bene, dunque, che la privatizzazione dell’Afol
Milano è la madre di tutte le
privatizzazioni. Se passa, e in questo modo, tutti i servizi degli enti
locali (Comuni, Province) potranno subire la stessa cattiva sorte.
Per contrastare questo disegno confuso ma pericoloso, occorrerebbe
una vigorosa reazione, non solo locale, che finora si è limitata ai sindacati.
I grandi mezzi d’informazione non hanno ancora dato la
notizia. Forse perché aspettano che le delibera sia approvata; ma in tal caso
non si potrà tornare indietro. Invece l’opinione pubblica (non solo i
lavoratori interessati) avrebbe diritto di conoscere in anticipo le conseguenze
di un’eventuale scelta. I cittadini devono poter esprimersi, eventualmente
anche con un referendum.
E i rappresentanti dei cittadini (gli amministratori e i
consiglieri di Regione, Provincia, Comuni, a partire da quello di Milano) cosa
dicono? La politica è già in vacanza?
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