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Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati.-B.Brecht

martedì 19 giugno 2012

LAVORO. Provincia di Milano, la madre di tutte le privatizzazioni. Politica in vacanza?.



di Giobbe

Nella provincia di Milano i servizi per l’impiego (CPI) e i centri di formazione professionale (CFP) saranno privatizzati, realizzando un società a capitale misto pubblico/privato? Abbiamo già scritto che il 29 maggio scorso la Giunta Podestà ha adottato una proposta di delibera in tal senso (pubblicata sull’Albo Pretorio online della Provincia), da sottoporre ora al Consiglio provinciale. Questa privatizzazione sarebbe unica in Italia. Per i sindacati i servizi pubblici per il lavoro non possono essere messi in discussione o ridimensionati: non si privatizzano servizi “sensibili” per i cittadini e garanti di una democratica ripartizione delle risorse pubbliche destinate ai senza lavoro.

Nonostante la mobilitazione dei lavoratori (ci sarà un’assemblea il 26 giugno), la Giunta provinciale non ha ancora ritirato tale delibera. Se questa fosse approvata, l’Afol Milano (CPI e CFP) passerebbe subito da azienda speciale (regolata dal diritto pubblico e senza scopo di lucro) a società a responsabilità limitata (a scopo di lucro, regolata dal diritto privato, con possibilità di fallimento e licenziamento). Di conseguenza, anche i dipendenti provinciali di tali servizi verrebbero privatizzati: subito quelli di Milano, più avanti quelli delle altre Afol provinciali. Anche gli utenti subirebbero conseguenze negative: in particolare, i servizi per l’impiego concentrerebbero la ricollocazione solo su lavoratori facilmente “spendibili”, a detrimento delle categorie più vulnerabili.


Se questo blitz estivo riuscisse, si negherebbero i capisaldi delle tutele universali e gratuite dei lavoratori. Il passo successivo (di cui si parla a livello nazionale, e che in parte il “sistema doti” della Regione Lombardia già anticipa) sarebbe quello di vincolare una parte degli ammortizzatori sociali destinati a chi resta senza lavoro a misure di politica attiva scelte dall’azienda che lo ha licenziato. In pratica, una parte degli indennizzi destinati ai disoccupati sarebbero destinati alle “agenzie private” chiamate a ricollocarli. Il risultato sarebbe di trasformare la disoccupazione in un affare (per le agenzie) finanziato con soldi versati da tutti i lavoratori, e di forzare i disoccupati ad accettare anche offerte di lavoro non dignitose. Invece, dovrebbe essere un diritto pieno e assoluto del lavoratore scegliere quale misura effettuare e con chi.
È vero che, per il principio di sussidiarietà, anche i servizi per l’impiego dovrebbero basarsi sulla “coesistenza attiva” di due pilastri: le Agenzie private per l’impiego e i Centri per l’impiego pubblici (come suggerito dall’Ilo già nel 1997). Ma lo scenario è ancora confuso, sia per le carenze normative sul mercato del lavoro (sulla materia le Regioni hanno potestà legislativa concorrente con quelle dello Stato, con conseguente conflitto), sia per l’incertezza sui modelli da adottare (concorrenza, cooperazione, complementarietà, esternalizzazione).
Ma la Provincia di Milano pare decidere affrettatamente e - in questo caso -  pare confondere la sussidiarietà,  che non può significare annullamento del pubblico, con la privatizzazione.

Inoltre la proposta della Giunta Podestà appare carente di legittimità e in contraddizione con i principi di una leale concorrenza.
Infatti, la normativa citata nella delibera è infondata. Vengono citate due leggi (la 248/2006 e la 244/2007) che in realtà, a tutela della concorrenza, limitano il potere degli enti locali di costituire società di capitali; per di più, una società mista privilegerebbe alcuni soggetti privati (soci) rispetto ad altri e, se non correttamente regolata, farebbe concorrenza sleale. Non vengono citati, invece, né l’art. 113 del Testo Unico enti locali sulla gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica, né l’art. 113-bis su quelli senza rilevanza economica (quest’ultimo articolo dichiarato incostituzionale dalla Corte, per illegittima compressione dell’autonomia regionale; la Regione Lombardia finora non ha legiferato in materia).
In sintesi: la proposta di delibera della Provincia non individua se l’Afol appartenga o meno alla categoria di servizi pubblici di rilevanza economica (questi servizi vivono di finanziamenti pubblici, tra i quali quelli incerti del Fse), e – in tutti e due i casi  – non adotta le corrette procedure o la corretta forma di gestione.
Tra l’altro, le motivazioni della Giunta Podestà non sembrano fondate sulla razionalità e sulla ragionevolezza. Come già autorevolmente sostenuto (parere 195/2009 della Corte dei Conti Lombardia), il relatore della delibera avrebbe dovuto fare un’analisi puntuale; dei singoli servizi e del possibile impatto sul mercato concorrenziale di riferimento; dei requisiti di redditività e autosufficienza economica (capacità di produrre profitti o di coprire i costi con i ricavi). Inoltre, avrebbe dovuto valutare le modalità di fornitura del servizio con riguardo ai costi, ai margini di copertura, alle modalità di organizzazione del servizio in termini di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto da un lato dei princìpi di tutela della concorrenza, dall’altro lato del principio di universalità e dei livelli essenziali delle prestazioni.
Per di più, tali valutazioni avrebbero riflessi sul bilancio dell’ente. Ma la delibera contiene solo il parere tecnico/amministrativo, favorevole (espresso dallo stesso dirigente che ha scritto la relazione), mentre viene bypassato il parere di regolarità contabile poiché non viene esplicitato il contenuto economico dell’atto (non viene neppure indicato il capitale sociale di cui disporrà la nuova Afol Srl).

Si capisce bene, dunque, che la privatizzazione dell’Afol Milano è la madre di tutte le privatizzazioni. Se passa, e in questo modo, tutti i servizi degli enti locali (Comuni, Province) potranno subire la stessa cattiva sorte.
Per contrastare questo disegno confuso ma pericoloso, occorrerebbe una vigorosa reazione, non solo locale, che finora si è limitata ai sindacati.
I grandi mezzi d’informazione non hanno ancora dato la notizia. Forse perché aspettano che le delibera sia approvata; ma in tal caso non si potrà tornare indietro. Invece l’opinione pubblica (non solo i lavoratori interessati) avrebbe diritto di conoscere in anticipo le conseguenze di un’eventuale scelta. I cittadini devono poter esprimersi, eventualmente anche con un referendum.
E i rappresentanti dei cittadini (gli amministratori e i consiglieri di Regione, Provincia, Comuni, a partire da quello di Milano) cosa dicono? La politica è già in vacanza?



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