Qualcuno dovrà pur dirglielo
Puntuali! Dopo le elezioni amministrative, ecco che il
Senato ( a colpi di fiducia.. perché discuterne?) approva la riforma del mercato del lavoro.
Notare la sequenza logico-temporale non casuale. PDL e PD votano compatti, 231
voti favorevoli. Sui primi nessun dubbio; il fascistume capitanato da Berlusconi-Sacconi,
avevano fatto della riforma del mercato del lavoro e dell’art 18 uno dei loro
cavalli di battaglia. Teleguidati (visti i requisiti culturali della Lega e
PDL, non sarebbero stati in grado di concepirla, nemmeno sotto dettatura!)
dalla Troika internazionale (come Monti ora) hanno eseguito i loro compiti. E
il PD? Come giustificherà questa scelta
alla sua base, presumibilmente, si spera, a larga maggioranza contraria alla riforma e
all’abolizione di fatto dell’art 18? Come lo spiegherà ai suoi milioni di
iscritti alla CGIL? Come non pensare, ad un anno dalle politiche, che queste
scelte aumenteranno la distanza tra un segretario che promette in TV, lotta e cambiamenti (si ricordino e non si
dimentichino le stesse “chiacchiere” fatte in merito alla riforma delle
pensioni e finite nel nulla, come da copione) e le scelte operate poi in
parlamento?
Si potrebbe dire e sostenere che, data la crisi economica politica
internazionale e quella italiana in
particolare, mettere in crisi il governo Monti, sarebbe stato un atto di irresponsabilità. Due appunti in merito: il primo è che il partito non è
più il tramite tra le esigenze-bisogni del suo elettorato e lo Stato/l’impresa;
secondo non ha una più sua autonomia politica. Tanto più che M. Monti dichiara:
”una riforma di profonda struttura che ha ricevuto il parere favorevole di
organismi internazionali imparziali come UE,
OCSE, FMI”. Definire “imparziale “ il FMI è come negare l’Olocausto! Non
la conosce la storia dei popoli dell’America latina, Africa, Asia e non da
ultima la Grecia, “salvati” dal FMI? M. Monti ci fa o ci è? Invece Anna Finocchiaro, per il PD, sostiene: “ E’
stata raggiunta una sintesi razionale, laica e direi, se non fosse una
sgrammaticatura, costituzionale e riformista della regolamentazione del mercato
del lavoro e penso che sarà utile all’Italia” (tralasciamo il vuoto
dell’antefatto, di quale parte dell’Italia stiamo parlando?) Vediamo
invece, perché secondo noi, non sarà
utile all’Italia dei lavoratori ,e solo il tempo ci darà ragione o torto.
-
L’art 18 rappresenta un insostituibile fattore
di civiltà. Abolirlo o ridurlo nella sua efficacia ci riporterebbe alle
relazioni industriali degli anni ’50, con il mercato del lavoro senza regole,
governato dall’arbitrio dei grandi gruppi industriali, liberi di licenziare e
determinati a tenere lontana la Costituzione dai posti di lavoro; l’art 18
tutela la dignità dell’uomo e non dovrebbe essere materia di pertinenza delle
relazioni industriali;
-
L’abolizione dell’art 18 non avrà alcuna
influenza significativa sul rilancio produttivo del paese: esso si applica alle
imprese con più di 15 dipendenti e si sa che le piccole e medie imprese in
Italia, costituiscono circa il 95% dell’apparato produttivo;
-
L’art 18 rappresenta uno dei punti più
importanti dello Statuto dei lavoratori;
se si smonta quel pilastro, è facile che si smonti anche tutto il resto: la
rappresentanza sindacale, la libertà sindacale, il diritto a non essere
sorvegliati, ecc.;
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Non esiste alcuna prova oggettiva che abolendo
l’art 18 aumenti l’occupazione;
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DECIDE
IL GIUDICE. La nuova
normativa prevede l'esclusione dell'obbligo di reintegro per i licenziamenti
economici, lasciando al giudice la facoltà di stabilire se dietro alla
motivazione ufficiale del datore di lavoro ci sia un intento discriminatorio, e
quindi predisporre il ritorno alle sue funzioni del lavoratore. In caso
contrario c’è solo l’indennizzo economico. E’ come mettere una pistola carica
in mano agli imprenditori: potranno sempre dimostrare, data l’attuale crisi, la
necessità dei licenziamenti, soprattutto per i lavoratori più combattivi. Come
faranno i giudici del lavoro in carenza di organico e di fondi a seguire tutte
le cause? Impossibile;
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Costituisce una importante scudo psicologico per il lavoratore, che si
sente “protetto” da ricatti e vessazioni da parte del datore di lavoro;
-
Ma il punto centrale è
che il contratto tra datore e prestatore di lavoro è asimmetrico, perché le due parti in causa sono in posizione
di disparità sostanziale. La debolezza del lavoratore è dovuta a due cause
fondamentali: il suo salario è la fonte esclusiva, o prevalente, per lui e la
sua famiglia e il mercato del lavoro lo mette in condizione di insicurezza e
debolezza, per un eccesso di domanda e scarsità di offerta, ponendolo così in
condizioni di sottomissione al datore di
lavoro e al suo potere direttivo e disciplinare. Da qui la legislazione del
diritto al lavoro, tendente a riequilibrare tale disparità: assicurare una
parità sostanziale, almeno nei rapporti giuridici. Il diritto del lavoro non
ha, come finalità primaria, la crescita, il rilancio dell’economia, la
dinamicità delle imprese in un Paese. Il diritto del lavoro serve (anche per
favorire indirettamente il raggiungimento di questi obiettivi) a tutelare il
prestatore d’opera, riequilibrando il rapporto di forza tra questi e il datore
di lavoro. La tutela del contraente debole ha riflessi sociali generali e
giuridici positivi contro lo sfruttamento, la diseguaglianza, il ricatto(Dario
Bevilacqua)
-
La nuova riforma non elimina le decine di
contratti atipici, introduce invece minori tutele come l’Aspi, riducendo così
anche gli ammortizzatori sociali. Qualche ritocco qui e là ma la sostanza sarà
uno strano concetto di eguaglianza al ribasso: sarà la flessibilità, invece
delle garanzie, a essere estese a tutti i lavoratori, dipendenti pubblici
inclusi!
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