Giuseppina Ciuffreda
Viviamo su
un corpo celeste che ha una sua vita ma ce ne accorgiamo solo quando la terra
trema o un vulcano erutta. Relegati nei millenni lontani caldo infernale,
glaciazioni e collassi, la Terra nella psiche contemporanea sembra permanere
ancora immobile al centro dell'universo, nata una volta per tutte e senza più
evoluzione, percezioni antiche rafforzate dall'idea moderna di una natura inerte. Nuove immagini faticano ad
emergere e vengono ignorate dinamiche date per scontate e altre meno note: ogni
giorno il nostro pianeta ruota su se stesso e in un anno gira attorno al Sole,
i continenti si allontanano uno dall'altro per la deriva intuita da Alfred L.
Wegener, la crosta terrestre scivola, idea di Charles H. Hapgood che entusiasmò
Einstein e la Terra è un organismo vivo che regola la sua chimica e il suo
metabolismo per mantenere condizioni propizie alla
vita, su cui è necessario misurare tutte le attività produttive.
Ma anche
l'ipotesi Gaia, elaborata negli anni Settanta da James Lovelock e Lynn Margulis
e accettata dal consesso scientifico nel 2001, non è ancora entrata nella testa
di politici, economisti, tecnici dell'informazione e nella prassi consumista di
miliardi di persone: per tutti, il pianeta resta un enorme ipermercato e una miniera che può essere sfruttata
all'infinito. Ma strappare alla natura quantità gigantesche di oro, diamanti,
carbone, petrolio, gas, rame, stagno, terre rare, uranio, coltan e altri metalli, quali conseguenze ha su Gaia? Conosciamo la
fatica dei minatori e i danni inferti all'ambiente
e alle popolazioni locali -
deforestazione, inquinamento, distruzione di comunità, guerre - ma non quanto
colpisca l'ecosistema planetario questo scavo continuo e diffuso che penetra
per chilometri con tecniche sempre più invasive, ultimo il fracking che per
aumentare l'estrazione di petrolio e di gas provoca fratture nello strato
roccioso. Le corporation rassicurano, i primitivi mettono in guardia. Gli U'wa,
indigeni colombiani delle Ande, vivono nella foresta in contatto con i loro
sciamani riuniti sulla cima della montagna ma per difendersi con efficacia
usano anche Internet e mandano giovani a studiare giurisprudenza. L'unico modo
per entrare nel loro territorio è salire su una sorta di canestro e
"volare" su un fiume perché non vogliono strade e ponti, opere che
annunciano uno sviluppo che non amano. Per anni hanno fermato le trivelle della
Oxy convinti che il petrolio sia "il sangue della Pachamama" e il
prelievo continuo una emorragia che esaurisce Madre Terra - ma anche Naomi
Klein in un reportage sul disastro nel Golfo del Messico scrive di un
"sanguinamento". L'immaginazione poetica intuisce. Nel "Signore
degli anelli" Tolkien racconta la passione dei nani - fabbri e gioiellieri
- per i metalli e le pietre preziose,
soprattutto per il Mithril, un materiale elfico simile all'argento, leggerissimo e resistente che
lavoravano magistralmente. Forgiano anche una cotta per lo hobbit Bilbo Baggins
che a sua volta la dona al nipote Frodo, destinato a distruggere l'anello del
potere nell'abisso del Monte Fato nel reame di Sauron, l'Oscuro Signore. I nani
saccheggiano una miniera dopo l'altra e alla
fine ne resta soltanto una. Avidi e ciechi, scavano sempre più in profondità
finché ridestano il "Flagello di Durin", un terribile servitore di
Sauron. Padrona del fuoco, la nera forma che incute angoscia e terrore
distrugge il loro regno.
Nessun commento:
Posta un commento