Oggi ci sono ancora le classi e quindi la lotta di classe?
Esistono ancora sinistra e destra? Possiamo parlare ancora di classe operaia e
sindacato? Secondo Rossana Rossanda, non ci sono dubbi: il Capitale globalizzato, mai come ora, ha
messo al lavoro milioni di persone; l’innovazione tecnologica ha ridotto il
lavoro degli uomini su ogni segmento del produrre, per ridurre il costo del
lavoro; le tecnologie della comunicazione permettono di spostare i capitali
dagli investimenti alla finanza, e viceversa, spostarsi dove la manodopera
costa meno, abbassando i diritti e i salari (Europa) conquistati nel corso del
XX secolo, e non solo. “Si è allargato quindi, in quantità e qualità, il
conflitto di interessi tra capitale e lavoro, i capitali concorrono (ma è più
elegante dire “competono”) nel ridurne il costo, mentre i vecchi e nuovi
lavoratori, non ancora o non più organizzati, si fanno la guerra, concorrendo
gli uni contro gli altri, più o meno
consapevolmente, al ribasso, per
conquistare un posto”. Il terzo soggetto è lo Stato “che legifera a favore del
padrone, Monti e Fornero ne sono figure da manuale”.
Proviamo ad analizzare. Negare l’esistenza delle classi è
una forma alta di lotta di classe, operata non solo dal capitale , ma anche da
partiti, informazione, ecc. Infatti, negando l’esistenza di un avversario, la
sua contrapposizione, non solo nego la lotta di classe, ma anche la sua
identità, la sua memoria, la sua organizzazione. La Teoria marxiana del valore
e del plusvalore , che molti hanno tentato di occultare furbescamente,
sbrigativamente, ma che nessuno è stato in grado di smentire, ritorna e spiega chiaramente l’enorme
polarizzazione della concentrazione
della ricchezza da parte dei pochi e la miseria dei più. Spiega l’asimmetrica distribuzione
della ricchezza tra i possessori dei mezzi di produzione e chi possiede solo la
forza-lavoro.” E più si dilata la distanza di reddito tra le classi, più sale la sfiducia nella capacità della
sfera pubblica di fungere da compensatore o moderatore della tendenza
sfavorevole alle classi subalterne. E meno la sfera politica è credibile, e più
la cosiddetta economia diventa dominante”
(R.Rossanda). Nei paesi industrializzati, il Nord del mondo, il capitale
ha operato maggiormente investendo nella
finanza, creazione di denaro attraverso denaro. L’effetto più evidente, si dovrebbe
dire, obiettivo strategico raggiunto, è
stato lo smantellamento di ogni forma e forza di opposizione organizzata., vuoi
a livello sindacale, politico, sociale .Ha altresì operato in modo da garantire
il lavoro a tempo indeterminato ai possessori di know how e creando per il
resto le condizioni per la più alta flessibilità nel lavoro della storia del
capitalismo. Ne consegue che mentre le
destre ultraliberiste e moderate spadroneggiano,
a sinistra si va in ordine sparso: è presenza diffusa nel territorio ma senza
una struttura organizzata, resistente perché sempre sotto attacco, compartimentata
nei diversi settori lavorativi e frammentata in partiti e partitini residuali. Il tutto
senza un progetto politico unitario
credibile, almeno nel breve periodo. (Chissà se il Nuovo soggetto politico,
Alba, potrà, almeno in parte, colmare
queste distanze) Da qui l’importanza fondamentale, in questa fase storica, della rete, come elemento collante
imprescindibile: come spazio di discussione e conoscenza; luogo di incontro di desideri, passioni, bisogni
individuali e collettivi condivisi;
spazio di elaborazione politica, di incontro virtuale ma anche reale.
Per contro, nei paesi del Sud del mondo, il surplus di
denaro è stato investito nella produzione di beni e servizi; la finanza non può
esistere senza gli investimenti produttivi. E qui sono state attuate forme di
sfruttamento feroci della forza –lavoro. Sotto la totale assenza di diritti e
tutele, la giornata lavorativa è stata prolungata fino al limite umano per estrarre più plusvalore possibile,
mostrando in tutta la sua essenza, quello che Foucault chiama biopotere, ossia il
controllo totale, nell’era del capitalismo, dei corpi-macchina. E qui sono
interessanti i concetti sulle “Nuove Recinzioni”,
ovvero il nome della riorganizzazione su larga scala dell’accumulazione avviata
a partire dalla metà degli anni ’70. “Secondo la logica dell’accumulazione
capitalistica in questa fase, per ogni fabbrica che viene privatizzata in zona
di libero commercio in Cina e venduta a una banca commerciale di New York, o
per ogni acro di terra recintato da un progetto di sviluppo della Banca
Mondiale in Asia o in Africa come piano di aggiustamento strutturale presentato
con lo slogan –un debito per l’ equità-, una recinzione corrispondente deve
determinarsi negli Stati Uniti e in Europa occidentale.” In sostanza, le Nuove
recinzioni rappresentano la continua riappropriazione di spazi “comuni”, devono
operare in modi diversi, discreti, anche se sono totalmente interdipendenti. Un
processo circolare: al Nord i profitti sono investiti nella finanza, le
attività produttive chiudono, dilagano disoccupazione e migrazioni, la
creazione di valore avviene con privatizzazioni e attacco ai “beni comuni”; il
surplus è spostato al Sud “l’accumulazione originaria istituisce negli spazi
che investe condizioni di frontiera –
di una frontiera che si pone al tempo stesso come frontiera selvaggia nella misura in cui la sua
prima legge è quella della violenza, e
come frontiera (di salvataggio) nella misura in cui la distruzione delle
condizioni sociali tradizionali finisce per presentare il capitalismo
(specifici capitalisti) come gli unici agenti possibili di uno sviluppo dai
caratteri di emergenza” (Tsing 2005). Disperazione?
Prendiamo, per finire, ancora in prestito le parole di M.
Foucault: “Bisogna dire che si è necessariamente -dentro – il potere, che non
gli si -sfugge- che non c’è rispetto ad esso una esteriorità assoluta… vorrebbe
dire misconoscere il carattere strettamente relazionale dei rapporti di potere.
Essi non possono esistere che in funzione di una molteplicità di punti di
resistenza, i quali svolgono, nelle relazioni di potere, il ruolo di avversario,
di bersaglio, di appoggio, di sporgenza per una presa.. Non c’è dunque rispetto
al potere un luogo del grande Rifiuto
– anima della rivolta, focolaio di tutte le ribellioni, legge pura del
rivoluzionario. Ma delle resistenze
che sono esempi di specie: possibili, necessarie, improbabili, spontanee,
selvagge, solitarie, concertate, striscianti, violente irriducibili, pronte al
compromesso, interessate o sacrificali… I punti, i nodi, i focolai di
resistenza sono disseminati con maggiore o minore densità nel tempo e nello
spazio, facendo insorgere talvolta gruppi o individui in modo definitivo,
accendendo improvvisamente certi punti del corpo, certi momenti della vita,
certi tipi di comportamento. Molto più,
spesso si ha a che fare con punti di resistenza mobili e transitori che
introducono in una società separazioni che si spostano, rompendo unità o
suscitando raggruppamenti, marcando gli individui stessi, smembrandoli o
rimodellandoli”.
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