Motto

Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati.-B.Brecht

martedì 1 maggio 2012

1° Maggio


Oggi ci sono ancora le classi e quindi la lotta di classe? Esistono ancora sinistra e destra? Possiamo parlare ancora di classe operaia e sindacato? Secondo Rossana Rossanda, non ci sono dubbi:  il Capitale globalizzato, mai come ora, ha messo al lavoro milioni di persone; l’innovazione tecnologica ha ridotto il lavoro degli uomini su ogni segmento del produrre, per ridurre il costo del lavoro; le tecnologie della comunicazione permettono di spostare i capitali dagli investimenti alla finanza, e viceversa, spostarsi dove la manodopera costa meno, abbassando i diritti e i salari (Europa) conquistati nel corso del XX secolo, e non solo. “Si è allargato quindi, in quantità e qualità, il conflitto di interessi tra capitale e lavoro, i capitali concorrono (ma è più elegante dire “competono”) nel ridurne il costo, mentre i vecchi e nuovi lavoratori, non ancora o non più organizzati, si fanno la guerra, concorrendo gli uni contro gli altri,  più o meno consapevolmente,  al ribasso, per conquistare un posto”. Il terzo soggetto è lo Stato “che legifera a favore del padrone, Monti e Fornero ne sono figure da manuale”.

Proviamo ad analizzare. Negare l’esistenza delle classi è una forma alta di lotta di classe, operata non solo dal capitale , ma anche da partiti, informazione, ecc. Infatti, negando l’esistenza di un avversario, la sua contrapposizione, non solo nego la lotta di classe, ma anche la sua identità, la sua memoria, la sua organizzazione. La Teoria marxiana del valore e del plusvalore , che molti hanno tentato di occultare furbescamente, sbrigativamente, ma che nessuno è stato in grado di smentire,  ritorna e spiega chiaramente l’enorme polarizzazione della  concentrazione della ricchezza da parte dei pochi e la miseria dei più. Spiega l’asimmetrica distribuzione della ricchezza tra i possessori dei mezzi di produzione e chi possiede solo la forza-lavoro.” E più si dilata la distanza di reddito tra le classi,  più sale la sfiducia nella capacità della sfera pubblica di fungere da compensatore o moderatore della tendenza sfavorevole alle classi subalterne. E meno la sfera politica è credibile, e più la cosiddetta economia diventa dominante”  (R.Rossanda). Nei paesi industrializzati, il Nord del mondo, il capitale ha operato maggiormente  investendo nella finanza, creazione di denaro attraverso denaro. L’effetto più evidente, si dovrebbe dire,  obiettivo strategico raggiunto, è stato lo smantellamento di ogni forma e forza di opposizione organizzata., vuoi a livello sindacale, politico, sociale .Ha altresì operato in modo da garantire il lavoro a tempo indeterminato ai possessori di know how e creando per il resto le condizioni per la più alta flessibilità nel lavoro della storia del capitalismo.  Ne consegue che mentre le destre ultraliberiste e moderate  spadroneggiano,  a sinistra si va in ordine sparso:  è presenza diffusa nel territorio ma senza una struttura organizzata, resistente perché sempre sotto attacco, compartimentata nei diversi settori lavorativi e frammentata  in partiti e partitini residuali. Il tutto senza un progetto  politico unitario credibile, almeno nel breve periodo. (Chissà se il Nuovo soggetto politico, Alba,  potrà, almeno in parte, colmare queste distanze) Da qui l’importanza fondamentale,  in questa fase storica,  della rete, come elemento collante imprescindibile: come spazio di discussione e conoscenza;  luogo di incontro di desideri, passioni, bisogni individuali e  collettivi condivisi; spazio di elaborazione politica, di incontro virtuale ma anche reale.
Per contro, nei paesi del Sud del mondo, il surplus di denaro è stato investito nella produzione di beni e servizi; la finanza non può esistere senza gli investimenti produttivi. E qui sono state attuate forme di sfruttamento feroci della forza –lavoro. Sotto la totale assenza di diritti e tutele, la giornata lavorativa è stata prolungata fino al limite umano  per estrarre più plusvalore possibile, mostrando in tutta la sua essenza,  quello che Foucault chiama biopotere, ossia il controllo totale, nell’era del capitalismo, dei corpi-macchina. E qui sono interessanti i concetti sulle  “Nuove Recinzioni”, ovvero il nome della riorganizzazione su larga scala dell’accumulazione avviata a partire dalla metà degli anni ’70. “Secondo la logica dell’accumulazione capitalistica in questa fase, per ogni fabbrica che viene privatizzata in zona di libero commercio in Cina e venduta a una banca commerciale di New York, o per ogni acro di terra recintato da un progetto di sviluppo della Banca Mondiale in Asia o in Africa come piano di aggiustamento strutturale presentato con lo slogan –un debito per l’ equità-, una recinzione corrispondente deve determinarsi negli Stati Uniti e in Europa occidentale.” In sostanza, le Nuove recinzioni rappresentano la continua riappropriazione di spazi “comuni”, devono operare in modi diversi, discreti, anche se sono totalmente interdipendenti. Un processo circolare: al Nord i profitti sono investiti nella finanza, le attività produttive chiudono, dilagano disoccupazione e migrazioni, la creazione di valore avviene con privatizzazioni e attacco ai “beni comuni”; il surplus è spostato al Sud “l’accumulazione originaria istituisce negli spazi che investe condizioni di frontiera – di una frontiera che si pone al tempo stesso come frontiera selvaggia nella misura in cui la sua prima legge è quella della violenza,  e come frontiera (di salvataggio) nella misura in cui la distruzione delle condizioni sociali tradizionali finisce per presentare il capitalismo (specifici capitalisti) come gli unici agenti possibili di uno sviluppo dai caratteri di emergenza” (Tsing 2005). Disperazione?
Prendiamo, per finire, ancora in prestito le parole di M. Foucault: “Bisogna dire che si è necessariamente -dentro – il potere, che non gli si -sfugge- che non c’è rispetto ad esso una esteriorità assoluta… vorrebbe dire misconoscere il carattere strettamente relazionale dei rapporti di potere. Essi non possono esistere che in funzione di una molteplicità di punti di resistenza, i quali svolgono, nelle relazioni di potere, il ruolo di avversario, di bersaglio, di appoggio, di sporgenza per una presa.. Non c’è dunque rispetto al potere un luogo del grande Rifiuto – anima della rivolta, focolaio di tutte le ribellioni, legge pura del rivoluzionario. Ma delle resistenze che sono esempi di specie: possibili, necessarie, improbabili, spontanee, selvagge, solitarie, concertate, striscianti, violente irriducibili, pronte al compromesso, interessate o sacrificali… I punti, i nodi, i focolai di resistenza sono disseminati con maggiore o minore densità nel tempo e nello spazio, facendo insorgere talvolta gruppi o individui in modo definitivo, accendendo improvvisamente certi punti del corpo, certi momenti della vita, certi tipi di comportamento. Molto più,  spesso si ha a che fare con punti di resistenza mobili e transitori che introducono in una società separazioni che si spostano, rompendo unità o suscitando raggruppamenti, marcando gli individui stessi, smembrandoli o rimodellandoli”.


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