Motto

Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati.-B.Brecht

mercoledì 28 marzo 2012

ART 18 Il cerchio si chiude


Riportiamo il passaggio della Lettera alla UE del Governo Berlusconi relativa al mercato del lavoro, dell’ottobre 2011, le sottolineature sono nostre.
b) Efficientamento del mercato del lavoro E' prevista l'approvazione di misure addizionali concernenti il mercato del lavoro.

1. In particolare, il Governo si impegna ad approvare entro il 2011 interventi rivolti a favorire l'occupazione giovanile e femminile attraverso la promozione: a. di contratti di apprendistato contrastando le forme improprie di lavoro dei giovani; b. di rapporti di lavoro a tempo parziale  e di contratti di inserimento delle donne nel mercato del lavoro; c.
del credito di imposta in favore delle imprese che assumono nelle aree più svantaggiate.
2. Entro maggio 2012 l'esecutivo approverà una riforma della legislazione del lavoro a. funzionale alla maggiore propensione ad assumere e alle esigenze di efficienza dell'impresa anche attraverso una nuova regolazione dei licenziamenti per motivi economici nei contratti di lavoro a tempo indeterminato; b. più stringenti condizioni nell'uso dei "contratti para-subordinati" dato che tali contratti sono spesso utilizzati per lavoratori formalmente qualificati come indipendenti ma sostanzialmente impiegati in una posizione di lavoro subordinato.

Due brevi  considerazioni: notare la perfetta corrispondenza dei tempi con il DDL di Monti; essendo la Lettera un atto pubblico e avendo dato pieno mandato al Governo Monti di proseguire le azioni iniziate dal precedente , risulta evidente che partiti e parti sociali erano a conoscenza dell’iter in atto. Perché  si chiude il cerchio? Punto primo, perché con la manomissione dell’art 18, il sistema- Italia, diventa a flessibilità e precarietà  totale. Gli attacchi al contratto nazionale, al diritto di decidere con il voto su accordi e contratti, ai sindacati non consenzienti, come nel caso della Fiom a Pomigliano, erano il terreno preparato per questo ultimo atto finale. Le cronache di Pomigliano sono quanto di più istruttivo, definito come il laboratorio delle “nuove relazioni sindacali”: si annunciano straordinari mentre la maggior parte dei lavoratori è fuori in cassa integrazione, lo sciopero è vietato dal nuovo contratto sottoscritto dai sindacati amici, i corsi di formazione sono usati per fare produzione, i ritmi di produzione esasperanti, pause ridotte, permessi nemmeno a parlarne. Non sbagliavamo quando affermavamo che la crisi economica è divenuta l’arma potente per svuotare i diritti e le tutele sul lavoro, intrecciandosi e potenziando la crisi della democrazia. La riforma del mercato del lavoro è l’ultimo atto di un lungo percorso storico, processo attraverso il quale l’impresa si è ripresa la vita dei lavoratori, divenendo oggi padrone-totale, dentro e fuori la fabbrica. Tutto all’interno di uno Stato che non solo non è in grado di reintegrare al lavoro i tre operai di Melfi, ma fornisce alibi e strumenti legislativi, come il licenziamento individuale  per motivi economici, per l’ultimo colpo finale( come fa G. Napolitano ad affermare che :”non ci saranno abusi” è un mistero). I loro destini sono descritti magistralmente  da Guido Viale . Ne riportiamo l’intero articolo perché ne vale la pena, scommettendo sul futuro, che tra non molto toccherà ai dipendenti pubblici, così da non avere categorie “privilegiate”, in democrazia non ci sono….. privilegi in basso! Infatti nella premessa del DDL si legge:” con riguardo al settore del lavoro pubblico, eventuali adeguamenti alle disposizioni del presente intervento saranno demandati a successive fasi di confronto”. Sempre sulla premessa si legge:” La riforma si propone di realizzare un mercato del lavoro dinamico, flessibile e inclusivo, capace di contribuire alla crescita e alla creazione di occupazione di qualità, ripristinando al contempo la coerenza tra flessibilità del lavoro e istituti assicurativi” e poi “rendere premiante l’instaurazione di rapporti di lavoro più stabili”.
Alcune considerazioni. Nel processo di globalizzazione il capitale ha assunto un’alta flessibilità e mobilità. Un’impresa non è altro che un insieme di sotto-imprese, ognuna delle quali concorre con una o più parti nella produzione di merci finali; la potremmo definire un indotto diffuso. Se una di queste affiliate  ha rendimenti inferiori ad altre concorrenti, il contratto può essere eliminato o sostituito con un altro. Questo ovviamente vale anche per i servizi. E spiega perché molte aziende italiane, pur avendo gli ordinativi, chiudono improvvisamente  e spiega il fenomeno della delocalizzazione diffusa. In questo contesto, anche il lavoro deve essere altamente flessibile. Conseguentemente, ed è l’effetto voluto, si ha il congelamento o addirittura la riduzione del salario reale e la massimizzazione dei profitti; oggi la paura della perdita del posto di lavoro è la nuova peste del XXI secolo. Questo è tanto più vero in quei Paesi privi di tutele legislative , come hanno mostrato i casi di Grecia, Portogallo.  Come faccia ad essere contemporaneamente un mercato del lavoro flessibile,  inclusivo e creare occupazione di qualità,  è una evidente contraddizione. Vediamo. Intanto non si deve confondere  la produttività come sinonimo di intensificazione del ritmo di lavoro e aumento della quantità di prodotto, ma come valore aggiunto per ora lavorata. Nel primo caso si ha semplicemente uno sfruttamento selvaggio del lavoro e una sovrapproduzione di merci, spesso di qualità scadente. Le imprese non hanno alcun interesse alla formazione  e l’apprendistato risulterà semplicemente una formula vuota,  tesa a chiamare in altro modo i rapporti e lo sfruttamento del lavoro. Questo processo, oltretutto, si inserisce perfettamente nel nuovo DDL: vengono espulsi operai e impiegati “maturi” e si inseriscono giovani (?),  a metà costo. Notevoli risparmi si otterranno anche con l’Aspi, la nuova assicurazione universale per la disoccupazione, che dura un anno, invece di una mobilità che può arrivare a quattro; un dubbio, non è che prevedono un notevole aumento della disoccupazione? Nel secondo invece si intende la produttività come  aggiunta di valore, in virtù dell’invenzione, originalità del prodotto, dell’innovazione organizzativa e degli investimenti di capitale, strada questa da tempo abbandonata dalla quasi totalità delle imprese italiane. Ultime considerazioni. Quanto è casuale che grandi manager della finanza internazionale si stanno inserendo progressivamente nei punti chiave del potere degli Stati? A pensar male…. Il capitalismo non muore di morte naturale (come spesso si sente dire), perché è potere in sé e per sé. Il suo adattamento ricorda il virus dell’HIV, che muta continuamente le sue forme, proprio quando si pensa di averlo debellato. Ha un solo limite, quello delle risorse di questa Terra, che non sono infinite, come la nostra pazienza, del resto. Potete scommetterci, tra qualche decennio, se al cammino della Storia non si fanno prendere altre strade,  ci si troverà di fronte al capitalismo ecologista, che estrarrà  e produrrà valore dagli immani danni provocati sugli ecosistemi. Positivo dunque! No, perché saranno in gran parte  solo poveri e fragili ecosistemi artificiali, perché i tempi e le dinamiche  della natura (della vita) e del capitale, sono inconciliabili.



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