27 Luglio 2012
Tra
Messico e Guatemala
L'affascinante
avventura che ha portato la nostra amica e collega Alice in Centramerica, nel
Messico più incontaminato e misterioso
Dalla nostra 'inviata' in Messico:
Nel mezzo della Selva Lacandona, tra Messico e Guatemala, sopravvive una
popolazione che vanta la diretta discendenza con gli antichi maya di
Palenque, i Lacandoni, o HACH WINIK' "i veri uomini", come si
definiscono loro stessi. Qui in Messico li chiamano "I signori della
selva", perchè da sempre hanno vissuto in questo ambiente tanto
meraviglioso quanto difficile al popolamento.
Ho vissuto con loro un mese, nelle comunità di Nahà e Metzabok, ed è stata
una delle migliori esperienze della mia vita.
Nahà significa "La casa dell'acqua", infatti si tratta di un pueblo
circondato dalla selva, cresciuto intorno alla bella laguna Nahà, che cambia
colore ad ogni ora del giorno. I lacandoni vivono in casette di legno, palma
e alle volte cemento. Sono un popolo fiero, la cui origine è ancora avvolta
nel mistero. Si caratterizzano per i lunghi capelli, la frangia e per la
tunica bianca. Bianca come le mura della splendida Palenque, l'antica città
Maya in cui nacque il loro dio, Hach Hak Yum.
Mi hanno ospitata in un dormitorio in cui spesso sostano biologi, guardie
forestali e antropologi. Il mio compito, affidatomi dalla Escuela Nacional de
Antropologia, era quello di studiare le usanze locali e i riti sacri. Come
sempre accade in un villaggio di indigeni, i primi a stabilire un contatto
con me sono stati i bambini, incuriositi dalla presenza di una straniera hanno
cominciato a farmi visita dal primo giorno, fino a diventare ospiti fissi
(sopratutto nelle ore dei pasti). Ricorderò sempre il piccolo Diego, detto
Tzu Nu (colibrì), "il bambino che non cresce mai": un ragazzino che
ha diciassette anni ma sembra averne otto, che con il suo compagno Victor
Cayum "il dio del canto", ogni mattina mi aspettavano per giocare a
calcio e per scalare gli altissimi alberi da cui ci si poteva tuffare
nell'acqua della laguna.
Bambini e adulti mi raccontavano le leggende della selva. Per loro ogni
creatura possiede un guardiano, un "dio" speciale. Mi hanno
spiegato che le tartarughe sono le nonne degli uomini, le scimmie urlatrici
gridano per chiamare la pioggia, gli alberi con i loro rami sostengono il
cielo ed ogni volta che un albero viene abbattutto una stella muore e cade
sulla terra.
La relazione tra i lacandoni e la selva è un rapporto di amore profondo.
Questo è facile da comprendere, ammirando l'acqua della laguna, la bellezza
dello specchio d'acqua che si perde all'orizzonte in tutte le esistenti
sfumature di azzurro e verde, o ammirando le maestose ceiba, l'albero sacro
ai Maya, che sembrano davvero sostenere il cielo con i loro rami.
Ho avuto l'onore di conoscere don Antonio, l'ultimo sciamano, l'ultimo
lacandone che possiede quella che loro chiamano "l'arte segreta":
canti che permettono di controllare la pioggia, le api e perfino le donne
(nel passato un uomo poteva avere tre o quattro mogli, comprendiamo quindi
perchè si necessitasse la magia per tenerle sotto controllo!).
Esistono canti per curare le malattie, canti per far innamorare la persona
amata, per chiedere pioggia o sole. Don Antonio mi ha mostrato il suo
templio: una capanna in legno con tetto in foglie di palma, in cui riposano
gli incensari che rappresentano gli dei principali, tra cui Hach Hak Yum, che
creò il mondo, Hach Na, la grande madre che veglia sui bambini, Kan an Kax,
il dio della selva e il dio degli stranieri (quindi anche il mio), che si
chiama Akiantò.
Ha fatto per me un rituale di purificazione, bruciando nell'incensario di
Akianto della resina, affumicando con il vapore che ne usciva una foglia e
cantando una lunga melodia nella sua lingua. Alla fine del rituale mi ha
regalato la foglia, ha detto che era un amuleto protettivo, che mi avrebbe
aiutata durante i viaggi e mi ha chiesto poi di riporla nella mia stanza
affinchè potesse proteggere la mia casa.
Il mio maestro di lingua maya era l'anziano Pepe, ogni giorno mi insegnava
vocaboli nuovi e mi ha anche insegnato a tirare con l'arco: i lacandoni da
sempre cacciano usando frecce che ricavano da canne simili a quelle di bambù,
le decorano con le variopinte piume dei pappagalli e realizzano una punta
diversa per ciascun tipo di animale che vogliono cacciare, esistono frecce
per il giaguaro, per il fagiano selvatico, per gli uccelli di piccola taglia
ecc.
Don Pepe cammina sempre scalzo, ama bere il balchè, una bevanda alcolica che
si realizza lasciando fermentare la corteccia di un albero in acqua
zuccherata, lui dice che "gli dà il buon umore" e quindi ne beve a
litri; fuma sigari alla vaniglia che lui stesso realizza con foglie di
tabacco e la vaniglia che cresce nella selva in abbondanza.
Ho imparato in fretta il maya, in quanto all'uso dell'arco, purtroppo o per
fortuna devo dire di non essere stata all'altezza: le frecce sempre cadevano
nel fiume o piantate nel terreno, suscitando così grandi risate nel mio
maestro che, quasi sempre, era mezzo brillo.
Le giornate a Nahà erano lunghissime, il pueblo è piccolo e non c'è molto da
fare, alle volte andavo a passeggiare nella selva o a visitare le varie
lagune a bordo del cayuco, una canoa in legno che gli indigeni realizzano
scavando il tronco di grossi alberi. Li osservavo la mattina presto uscire
dalle loro case con il remo in mano, li seguivo fino alla laguna, li
osservavo pescare e contemplare la natura in silenzio; non è difficile capire
perchè amino tanto la loro terra e tutto ciò che ne fa parte.
L'altra comunità che ho visitato si chiama Metzabok "Il dio delle
tormente", un villaggio ancora più piccolo ma molto importante, perchè
nella sua splendida laguna si trovano i siti sacri ai lacandoni, come la
grotta Tzibana, una caverna scavata in una parete di roccia su cui sono
visibili delle pitture rupestri che rappresentano animali vari, mani e
uomini.
I dipinti sono di colore rosso, la leggenda dice che furono dipinti dagli
antichi Maya con il sangue. La caverna, così dicono i Lacandoni, non ha
fondo, è il luogo in cui entrano le anime dei defunti per non fare mai
ritorno nel mondo dei vivi.
Sempre a Metzabok, in un angolo nascosto che si raggiunge solo in canoa, si
trova un sito in cui sono visibili crani, ossa ed incensari; qui don Antonio
e gli antichi sciamani, come il leggendario Chan Kin Viejo, bruciavano resina
per rendere omaggio alle divinità. A visitare la laguna mi hanno accompagnato
un uomo lacandòn e i suoi due figli, il piccolo, quando non remava, suonava
una foglia gigante che aveva arrotolato come fosse una trombetta; mi ha
invitata a tuffarmi nella laguna, avvisandomi solo in seguito che era piena
di coccodrilli.
Ma con la tranquillità con cui sempre i lacandoni parlano, suo padre mi ha
rassicurata dicendomi: "Tranquilla, i coccodrilli non hanno mai ucciso
una persona, al massimo ti staccano un piede o una mano", ho così deciso
di ritornare a bordo tra le risate generali.
Un mese è volato in fretta, nonostante il tempo a Naha sembrava scorrere più
lentamente, forse complice erano il silenzio delle lunghe giornate,
l'incessante rumore della pioggia, le notti senza corrente elettrica, nelle
quali Naha sprofondava nella più totale oscurità, rotta solo dalle lucciole
che uscivano allo scoperto quando l'ultima luce veniva spenta.
Di Naha mi resteranno ricordi bellissimi: il fumo che esce dalle case al
mattino, la selva all'alba, avvolta nella nebbia, i bambini che giocavano
sugli alberi aggrappandosi alle liane, i racconti degli anziani e il loro
sguardo triste quando mi dicevano "Stiamo scomparendo".
Infatti restano pochi lacandoni, minacciati dalla deforestazione, dalla
"contaminazione" esterna, dalla presenza degli stranieri. Prima di
salutarmi mi hanno chiesto di scrivere la loro storia, affinchè non venga
dimenticata.
Tornerò quindi a febbraio, per restituire loro un pò di tutto ciò che mi
hanno regalato.
Alice A.d.N. |
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