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sabato 21 aprile 2012

Dal sito di Emergency

Italia, al via la campagna Stop Enel. Per un nuovo modello energetico

20 aprile 2012versione stampabile
Enel è la più grande società elettrica italiana e la seconda in Europa per potenza installata. Nel 1999 è stata in parte privatizzata e oggi è quotata in borsa e conta 1,2 milioni di azionisti. Per il 31 percento resta però di proprietà del ministero dell’Economia e delle Finanze, quindi dei cittadini italiani, che hanno dunque il diritto di dire la propria.
Sono 40 i paesi dove Enel opera sia in progetti che riguardano l’energia elettrica, sia in piani che riguardano il gas, e con il definitivo acquisto della società elettrica spagnola Endesa, nel 2009, ha ereditato impianti e progetti in numerosi paesi dell’America Latina. Ed è l’evidente retaggio coloniale che sta caratterizzando la sua politica, con conseguenti impatti socio-ambientali devastanti, che ha spinto una serie di Ong italiane a lanciare un appello per fermarla e imporle un nuovo modello energetico. E l’arroganza di Enel si è manifestata anche in Italia verso i territori interessati dai suoi progetti e verso gli abitanti coinvolti.
“Nonostante l’immagine verde e di impegno verso la sostenibilità, che la multinazionale italiana si affanna a comunicare attraverso i suoi messaggi promozionali, la realtà è ben diversa – spiega il testo dell’appello -. Enel continua a costruire centrali a carbone nonostante gli impegni di riduzione dell’emissione di gas serra e usa in maniera ingannevole terminologie come carbone pulito. Ciò è possibile grazie ai meccanismi cosiddetti flessibili del protocollo di Kyoto che consentono alle imprese di continuare a inquinare, assegnando veri e propri permessi di emissione in cambio della costruzione di impianti di energie rinnovabili.
Ma l’energia può essere considerata verde solo ad alcune condizioni. Non quando rischia di distruggere ecosistemi incontaminati, come nel caso del progetto Hydroaisèn nella Patagonia cilena e dei progetti previsti sulle nostre Alpi, o quando calpesta i diritti, le economie locali e l’accesso all’acqua dei popoli indigeni e delle comunità contadine come avviene in Guatemala e in Colombia. L’energia – prosegue il testo – non può essere considerata verde o rinnovabile quando prosciuga le falde acquifere, emette sostanze dannose per la salute dei cittadini o li espone a rischi incalcolabili come nel caso della geotermia sull’Amiata e del nucleare in Slovacchia o in Russia”.
Per tutte queste ragioni, dunque, Enel è responsabile di promuovere in Italia ed esportare all’estero un modello energetico “insostenibile e obsoleto, aggravato da un atteggiamento autoritario e irrispettoso dei territori locali”. Si tratta, infatti, di “un modello basato su una produzione centralizzata per mezzo di grandi impianti, imposti alle comunità locali e velati da compensazioni economiche elargite ai Comuni o ai Governi compiacenti. E’ nei grandi cantieri – spiegano nel documento – che si annidano la corruzione, la speculazione, il conflitto di interesse e si realizzano i profitti maggiori, a scapito dell’ambiente e dei diritti delle comunità. Un modello di produzione finalizzato non a migliorare la qualità della vita dei cittadini e a garantirne l’approvvigionamento energetico, ma ad alimentare l’industria estrattiva ed un’economia basata sul saccheggio e sullo sfruttamento illimitato delle risorse”. Un modello che, infatti, sta generando conflitti ambientali e sociali con tutte le comunità locali che sono costrette a subirlo. Basta guardare cosa sta accadendo nel cuore della Patagonia cilena con il progetto HidroAysèn, nel municipio indigeno di San Juan Cotzal  in Guatemala, nel Municipio indigeno di Panguipulli sempre in Cile, nel dipartimento di Huila in Colombia, a Porto Romano in Albania, a Mohovce in Slovacchia, nel Distretto di Galati in Romania e a Kaliningrad in Russia. Ma è sufficiente anche restare a Civitavecchia, sul Monte Amiata, sulle Dolomiti, a Porto Tolle, a Brindisi, a Bastardo, a Fusina e a Genova.
E la risposta che “l’alleanza tra impresa e governi ha troppo spesso riservato alle comunità locali che si battono per difendere il territorio è repressione, violenza e criminalizzazione attraverso leggi speciali. Noi vogliamo un altro modello di produzione, distribuzione e gestione dell’energia e di definizione delle priorità. Un modello reticolare, decentralizzato ed efficiente basato su impianti di energia rinnovabile di piccola scala, che preveda l’effettiva partecipazione delle comunità locali nei processi decisionali di pianificazione e gestione”.
Per questo la nascita di una campagna italiana che promuoverà anche un modello energetico alternativo basato sui diritti umani e sulla la difesa della salute e del territorio come bene comune. Una campagna che promuoverà un’analoga campagna internazionale che metta in rete le comunità locali, i movimenti sociali e le associazioni coinvolte nei diversi conflitti.
“Come primo appuntamento ci incontreremo a Roma il 29 aprile in un’assemblea internazionale alla quale parteciperanno, oltre ai comitati italiani, rappresentanti delle comunità e movimenti locali dal Cile, Guatemala, Colombia, Albania, Romania, Russia. Il 30 aprile, giorno dell’assemblea degli azionisti, saremo di fronte ENEL per una conferenza stampa di presentazione della campagna”.

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