Motto

Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati.-B.Brecht

lunedì 9 gennaio 2012

PAMPHLET - «Caro sindaco, parliamo di biblioteche»

 APERTURA di Christian Raimo

 Antonella Agnoli ha scritto un libretto semplice e bellissimo. S'intitola Caro sindaco, parliamo di biblioteche, l'ha pubblicato l'Editrice Bibliografica (in una collana d'introduzione alle biblioteche che comprende altri titoli utilissimi), costa dodici euro, è lungo un centinaio di cartelle, non di più. È un libro-manifesto: puntuale nelle sue rivendicazioni come una Lettera a una professoressa, documentato e efficace contro l'ideologia dei social network come Tu non sei un gadget di Jaron Lanier, difensore di una prospettiva umanistica come Non per profitto di Martha Nussbaum.

Leggendolo - ci si impiegano un paio d'ore - si imparano (o si fa mente locale su) diverse cose: che esistono due tipi di biblioteche pubbliche (quelle di conservazione, appartenenti alla tradizione umanistica italiana; le public libraries più affini alla tradizione protestante), che solo il 2% di italiani legge più di due libri al mese, che all'estero gli intellettuali non hanno il feticcio di costruirsi biblioteche domestiche e utilizzano quelle pubbliche, che a pensarci una biblioteca è un luogo di socializzazione e googlebooks no, che i volumi cartacei garantiscono meglio l'integrità e la permanenza di un testo rispetto ai loro corrispettivi digitali, che i supporti informatici cambiano nel tempo e diventano spesso non utilizzabili (leggere una cinquecentina oggi sarebbe possibile, provate a fare lo stesso con un floppy), che per trovare un testo che ci serve non abbiamo bisogno di un'infinità di possibilità ma di una selezione ragionevole, che spesso un bibliotecario riesce a trovare quello che ci occorre meglio di un motore di ricerca, che i computer non possono essere un sostituto della scuola né di una biblioteca perché se accedo a più contenuti non è per niente detto che ne comprenda di più, che affinché arrivi la democrazia anche in Egitto o in Tunisia non bastano twitter o facebook ma serve scendere in piazza coi propri corpi e qualche volta morire, che Wikipedia non ce la fa già più a reggersi solo sul volontariato o sull'entusiasmo e che quindi tocca alle istituzioni mantenere nel tempo le grandi spinte collettive, che in Italia c'è una arretratezza culturale che sta diventando immobilismo (percentuali di lettori in diminuzione, tassi di laureati metà di quelli europei, grandi sperequazioni tra scuole rurali e scuole cittadine), che la cultura ha un bisogno vitale di infrastrutture intangibili, tipo la capacità di dare valore a contesti di esperienze ricchi e complessi (e va letto o riletto il molto citato Italia reloaded di Coliandro e Sacco), che le biblioteche possono funzionare come luoghi sociali deputati all'incontro con l'Altro (questo capita per esempio alle donne musulmane a Whitechapel che utilizzano gli Idea Store per uscire di casa e emanciparsi frequentando un corso d'informatica all'insaputa dei mariti), che dalla crisi del 2007 le biblioteche pubbliche fanno da ammortizzatore sociale indispensabile per molti di questi nuovi poveri, che le public libraries sempre di più svolgono un ruolo di accesso alla cittadinanza (ci si va per avere una connessione gratuita a internet, o capire come presentare un documento on-line), che trovare i soldi per le biblioteche in tempi di crisi anche per un piccolo comune non è per nulla impossibile - qualche concorso Miss Bikini in meno o l'affitto delle sale magari per un matrimonio o una festa di compleanno sono solo alcune delle idee possibili, che se le biblioteche diventassero capaci di fornire molti, moltissimi servizi (da uno sportello giuridico alla possibilità di pagare le bollette a una sede per corsi di yoga al bar per l'aperitivo) si trasformerebbero nei luoghi di riferimento per i cittadini e quindi dei presìdi democratici (piazze del sapere, per usare il titolo del precedente libro di Agnoli), che è basilare coinvolgere dei volontari che amplino lo spettro delle attività socioculturali da offrire, che le biblioteche - a saperle progettare - possono diventare come è accaduto in molti casi in Italia i centri propulsori di una strategia di riqualificazione urbana...
Insomma se io fossi un amministratore pubblico eleggerei questo Caro sindaco a mio libretto rosso per le prossime elezioni e scriverei il mio programma politico a partire da qui, ricavandone uno slogan semplicissimo: una biblioteca pubblica all'avanguardia in ogni quartiere e tra cinque anni l'Italia sarà diversa. Se, come racconta Agnoli (che sarà oggi pomeriggio a Palermo agli incontri di «Cultura Bene Comune», vedi scheda qui sotto), ha funzionato a Maiolati Spontini, un comune di 6132 abitanti in provincia di Ancona, perché non dovrebbe funzionare dappertutto?




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