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Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati.-B.Brecht

martedì 17 gennaio 2012

17 GENNAIO SANT'ANTONIO ABATE - FALO' ACCESI DAL NORD AL SUD PER CELEBRARE I MISTERI DELLA TERRA

Fòcara di Novoli
UNA FESTA CONTADINA
A Sant’Antoni un’ura bona” vale a dire che le giornate iniziano ad allungarsi, e la luce, si sa, è il primo sintomo della primavera. Che poi faccia un gran freddo non è altro che un buon segno: Sant’Antoni è noverato tra i santi “mercanti” di neve, e non si dice forse “sotto la neve pane”?
Tra sacro e profano, fede e magia, storia e tradizione il 17 gennaio in molti paesi d’Italia si accendono falò propiziatori. Il 16, la vigilia, nelle Puglie si accende la Fòcara e la festa dura tre giorni.
Che siano stati originariamente in memoria del Santo che tornò vittorioso dagli inferi con in mano un tizzone acceso o in devozione al Dio celtico Lug (custode delle porte infernali), per il mondo contadino restano simbolo della rinascita primaverile (e morte dell’inverno).

Dalle fiamme si traevano presagi: se tiravano a ponente, per esempio, l’annata sarebbe stata “bundanziusa”.
Ma com’è potuto accadere che Sant’Antonio, eremita vegetariano nel deserto egiziano del IV secolo, sia diventato protettore degli animali e patrono dei macellai? Come il Dio celtico Lug veniva rappresentato con un cinghiale ai piedi, così Sant’Antonio viene dipinto sempre accompagnato da un maialino.
Sulla figura di questo santo, però, tanto si è costruito. La fama di asceta era tale che la sua salma venne trasferito dai monti della Tebaide nella località francese di Motte-Saint-Didier dove per ospitare i fedeli in visita si costruì un ospedale. L’antico ordine ospedaliero dei monaci “Antoniani” assisteva, appunto, le folle di malati giunte con la speranza di una grazia.
Il “fuoco di Sant’Antonio”, prima “Ignis Sacer”, (nulla a che vedere con l’Herpes Zoster di adesso) era, allora, una malattia endemica dovuta ad un fungo canceroso presente nella segale, base dell’alimentazione medioevale, e veniva curata con un unguento ricavato dal grasso di maiale;  ai monaci, quindi, ne veniva concesso l’allevamento.
Che altro? Non mi resta che augurarvi buona festa e ricordarvi che:
“A Sant’Antoni, frècc da demoni”
“A San Sebastian, frècc da can”
“A San Bias, el frècc l’è ras (è al colmo)”

Dorotea Carson

P.S. consiglio la lettura del libro di Laura Fenelli “Dall’eremo alla stalla, storia di Sant’Antonio abate e del suo culto” ed Laterza

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