Motto

Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati.-B.Brecht

martedì 13 dicembre 2011

VERTICE DI DURBAN

[di Giuseppe De Marzo su l'Unità del 10 dicembre 2011] Nulla di fatto. Mentre scriviamo mancano pochissime ore alla conclusione della COP17 sul clima. Qui a Durban si “celebra” l’ennesimo fallimento. La Conferenza delle Parti, nata all’interno dell’accordo quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, aveva ed ha come obiettivo centrale quello di ridurre le emissioni di gas climalteranti che hanno provocato lo sconvolgimento climatico e che costituiscono la più grave minaccia per l’umanità.

 A questo doveva rispondere la COP17 di Durban. Non lo ha fatto. Il summit sul clima è stato bloccato dai veti e dalle esigenze del mercato e delle grandi corporations interessate a che nulla cambi. E si sa, gli affari non hanno colore ne bandiera e spesso mettono d’accordo. Per due settimane abbiamo assistito ad enunciazioni di principio prive di qualsiasi strumento vincolante.


L’accordo di Kyoto costituisce l’unica arma di cui dispone l’umanità per obbligare i grandi inquinatori a ridurre le loro emissioni. Fa impressione dover constatare come l’unico trattato che esista sia stato seppellito nel continente che più pagherà nell’immediato i costi ambientali e sociali del caos climatico. E chi dice il contrario mente. Questa conferenza finisce senza accordi vincolanti ed una volta scaduto Kyoto, l’anno prossimo, niente potrà sostituirlo, stando così le cose. Dovremmo aspettare più in la. Forse il 2015 o addirittura il 2020.

Qui in Africa il lassismo e l’irresponsabilità della governance globale produrranno un aumento di 7 o 8 gradi in questo secolo, con conseguenze apocalittiche. Tutto questo sta avvenendo nel silenzio dei principali media, alcuni dei quali in evidente affanno per trovare qualcosa di utile sul piano della comunicazione per salvare un processo che ha avuto come unico risultato quello di non fare pagare a chi ha inquinato il debito climatico, ne tantomeno costringerlo a ridurre il proprio peso in atmosfera. Alla COP15 di Copenaghen avevano giurato i principali governi, USA in testa, che non avrebbero consentito un aumento di 2 gradi, oltre il quale c’è l’inferno. In assenza di un accordo vincolante la temperatura aumenterà invece di 4 gradi in questo secolo: una tragedia economica, sociale, ecologica, migratoria, culturale.

Quello che stupisce le associazioni, i sindacati, i movimenti qui presenti, è il silenzio della politica, ormai completamente assuefatta all’idea che sia il mercato a salvarci dalla catastrofe. In molti, Europa inclusa, sono aggrappati alla green economy made in Cina. Il gigante cinese si è detto disponibile a ridurre le sue emissioni solo dal 2020, nel frattempo offre a tutti grandi opportunità di business sulla green economy, sulla quale è pronta una pioggia di miliardi: 50 ogni anno. Ma non sarà questo tipo di interventi, ne la tanto osannata produzione di un milione di auto elettriche, che impediranno alla temperatura di impennarsi oltre i limiti sopportabili. Non sono queste le ricette che servono per coniugare le ragioni dell’ambiente con quelle del lavoro.

Le proposte portate dalla società civile e dalla scienza per una seria riconversione energetica ed industriale dell’apparato produttivo, in grado di rispondere concretamente a queste due grandi urgenze, sono rimaste inascoltate. Nemmeno sui meccanismi di mitigazione ed adattamento si sono fatti passi avanti per sostenere i paesi più poveri e quelli più vulnerabili, come le isole nel Pacifico che stanno scomparendo per l’innalzamento dei mari. La Clinton che aveva garantito 100 miliardi di dollari ogni anno per il Fondo Verde si è rimangiata la parola e non si capisce chi metterà i soldi e come saranno ripartiti. Il Fondo dovrebbe essere gestito dalla BM, mentre il WTO si è detto interessato agli scambi di tecnologie. Due pessime notizie, visto il ruolo negativo di questi soggetti nella crisi ecologica ed economica mondiale.

Siamo in balia delle onde. Per evitare di trovarci naufraghi sul nostro stesso pianeta dobbiamo fare prestissimo e costruire un campo nuovo che esprima una cultura egemone capace di ripensare lo sviluppo a partire dai limiti del pianeta. Non è impossibile. La società civile, i movimenti, i lavoratori, i contadini e la scienza sono pronti. Speriamo che la politica questa volta scelga di stare dalla parte giusta.


Giuseppe De Marzo, portavoce Associazione A Sud

 

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