
I nostri ministri, e non solo, confidano sul fatto che non tutti gli italiani sono informati. Così, rilasciando dichiarazioni varie, tentano quotidianamente di dimostrare che tutto va bene, ostentano ottimismo. Sì, talvolta rilasciano dichiarazioni inquietanti, improvvisate, un po’ casarecce, alle quali, seguono rapide, smentite e correzioni. La realtà, però, non si misura con le affermazioni di questo o quel politico, ma sull’analisi di dati e fatti, relativi ad un dato fenomeno.
La classifica OCSE (organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici-europeo) per gli investimenti nell’Istruzione ci pone al 29® posto su 34®. Alla scuola e all’Università l’Italia riserva il 4,8% del PIL, contro una media OCSE del 6,1%. Gli stipendi degli insegnanti italiani sono tra i più bassi d’Europa. Dal 2000 al 2009 sono diminuiti dell’1%, mentre altrove l’aumento è stato mediamente del 7%. “Questi dati si spiegano perché gli insegnanti sono numerosi per far fronte all’elevato numero di ore di insegnamento – 8316 h contro la media OCSE di 6732 – ha sostenuto il capo dipartimento del MIUR, G. Bondi, questa è una delle cause della loro retribuzione non alta”. La retribuzione non dovrebbe dipendere dalla prestazione fornita, piuttosto che dal numero delle persone che la forniscono? La verità è un’altra. Prescindiamo dal dato storico che ha visto gli insegnanti sempre meno pagati rispetto agli altri laureati, e dai luoghi comuni sulla quantità di lavoro prestata, la verità è un’altra. Il contratto nazionale è scaduto nel 2006 e non è stato rinnovato. Gli scatti di anzianità bloccati e i pochi precari assunti quest’anno, dovranno aspettare 8 anni per avere un aumento! Inoltre, abbiamo, dai dati del Ministero, 92 edifici scolastici in meno, a fronte di un aumento delle classi di 4 200 unità e di 36 600 studenti in più. Questo ha portato alla famosa formazione delle classi “pollaio”. Tante scuole italiane segnalano, dopo i tagli ai docenti, situazioni insostenibili: classi con 28-30 alunni e più, in aule a volte inadeguate. Oltre che a violare le norme sulla sicurezza, costituiscono un serio ostacolo all’apprendimento, tanto più nei ragazzi in difficoltà. Ad esempio, è quasi impossibile l’uso (importantissimo) dei laboratori, l’insegnamento individualizzato, il recupero delle carenze. Le condizioni di lavoro peggiorate oltre ogni misura. Che dire dell’abbandono scolastico? Nel 2010 la % dei ragazzi, tra i 20-24 anni che hanno lasciato gli studi superiori era del 18,8 %, a fronte di una media europea del 14,4% (dati ISTAT). Il rapporto, comunque, è redatto prima dei tagli Tremonti-Gelmini di 8,5 miliardi di euro alla scuola.
Non sappiamo cosa ci porterà questo autunno. Capiamo che il disegno è la destrutturazione della scuola pubblica, del sapere e della progettualità come crescita sociale, che tanto spaventa i nostri politici. Intuiamo che si vuole la rassegnazione di studenti e insegnanti… fino a quando?!
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